Perché le inserzioni su Meta sono così importanti per la tua azienda

Ok, sei il direttore marketing dell’azienda.
Oppure sei il responsabile del digital marketing.
Insomma sei quella figura che ha affidato a un’agenzia o a un freelance la gestione delle tue campagne.

Ocio alla parola “affidarsi” perché il suo significato è “dare in custodia all’altrui capacità”. Quindi in teoria se l’agenzia è “fidata”, non dovresti preoccuparti di nulla.

Infatti questo mio breve ragionamento ha come unico obiettivo quello di portarti un po’ dietro le quinte dell’universo Meta e darti qualche spunto per provare a migliorare qualità ed efficacia di ciò che viene comunicato della tua azienda all’interno dell’universo Meta.

Cominciamo dalle priorità

In una scala da 1 a 10, l’inserzione ha sempre priorità 10. Più del budget, più del target, più delle ottimizzazioni, più delle attribuzioni.

Ciò che vede l’utente finale è la cosa più importante in assoluto nell’universo Meta.

La questione sembrerebbe anche banale, se non fosse che perdiamo un sacco tempo a interrogarci sulle audience, sul micro-management delle campagne, sulle performance dell’account.

“Meta è inefficiente”

Ok, nella maggior parte dei casi il primo indiziato è l’inserzione.

Ma che cos’è un’inserzione?

L’inserzione è quella cosa dove il tutto è maggiore della somma delle sue parti.

Le sue parti sono 3: il Copy, la Creatività e il formato:

le tre componenti di una inserzione: copy, creatività, formato

Qualche parte è più importante delle altre? No. Contribuiscono ciascuna a realizzare quel tutto, quell’insieme che la persona che sta cazzeggiando sui social vedrà e riconoscerà come un insieme unico, armonico, coerente.

Perché è così importante l’inserzione?

Ti mostro questo esempio:

Questa è una campagna che si chiama Advantage+ ed è la campagna più “ignorante” del mondo Meta.

Ha un solo obiettivo: vendere.
Ha un solo target non modificabile: tutti. Tutti ma proprio tutti nel senso che non puoi scegliere genere, età, interessi, geolocalizzazione.

Pensa un po’, è la campagna più utilizzata da qualsiasi e-commerce che abbia un approccio consapevole con il mondo Meta.

Quindi il peso specifico del target qui è nullo, perché lo sceglie Meta.
L’obiettivo non è modificabile perché lo sceglie Meta.
Tu ti devi occupare solo di una singola cosa: la qualità della tua inserzione. Anzi la qualità DELLE TUE INSERZIONI, perché il segreto di una Advantage+ è dare in pasto all’algoritmo un numero sufficiente di creatività e di stimolazioni differenti.
Così Meta potrà distribuire la giusta creatività al target più adatto.

Ok che la campagna Advantage+ è la più ignorante di tutte e forse anche la più semplice, ma guarda quante inserzioni la stanno trainando in questo momento:

Tiene a mente sempre questo principio di base:

  • target sbagliato ma creatività stimolante → la tua campagna ha serie chance di funzionare lo stesso
  • target corretto ma creatività anonima → saluta pure ogni tua velleità di attenzione da parte del pubblico

Ma come nasce un’inserzione?

Noi usiamo un metodo abbastanza collaudato e che francamente ci ha sempre dato grandi soddisfazioni ovvero andare alla ricerca del punto di equilibrio perfetto tra le tue aspettative, cioè quello che vuoi ottenere da questa inserzione, e il trigger point migliore per realizzare questa aspettativa.

Facciamo un esempio.
Guardate questa inserzione:

Inserzione del cliente Luca Barra per la campagna "Grazie maestra"

Questo è un nostro ormai storico cliente, si chiama Luca Barra.

Qual è l’obiettivo dell’imprenditore, obiettivo che poi viene trasmesso all’agenzia? Ovviamente vendere.
Quindi la mia aspettativa è quella di lavorare su Visualizzazioni della Scheda Prodotti, Carrelli, Vendite, Tasso di Conversione.

Qual è il trigger point, ovvero il punto di attivazione dell’attenzione, che muove questa inserzione?
In questo caso sembra quasi banale, è di sicuro “la stagionalità”.
Cioè entrare nelle stagioni dell’azienda: festa della mamma, festa del papà, black friday, Natale etc.

Ma questa è un po’ più sottile perché lavora sul tempo reale della vita sociale delle persone.
Quindi non ragiono solo sulle stagioni dell’azienda, ma ragiono sulle stagioni delle persone, sul loro tempo reale, su ciò che li stimola in un particolare momento storico.
In questo caso siamo a metà maggio, la scuola sta finendo e il trigger poi è ragionare sul tempo sociale di una nicchia: quello dei genitori che devono fare un regalo alla maestra.

Come direbbe l’ottimo Massimo Giacchino, sta tutto nell’andare a scovare quali siano i micro-indizi, i “microdati” come li chiamerebbe lui, della tua audience di riferimento:

Diagramma dei microdati

Guarda quest’altra inserzione:

Campagna de LaFarmacia per le prenotazioni online dei servizi

L’aspettativa del cliente è chiara: devo promuovere il servizio della prenotazione della visita online. Quindi il mio obiettivo è quello di provare a trasformare le abitudini di un pubblico, dalla prenotazione fisica alla prenotazione direttamente sul portale de La Farmacia.

E qual è il trigger point?
Anche in questo caso si parte da un ragionamento a monte: quali sono le paure del tuo potenziale pubblico?
Forse “paura” non il termine corretto, forse gli americani hanno un termine migliore che è “pain point”.

Qual è il pain point del tuo pubblico? In questo caso è “fare la coda”, uno degli incubi peggiori di sempre in generale, figuriamoci in ambito sanitario-ospedaliero.

E allora, in primis supportiamo l’inserzione con un dato da una fonte autorevole, ovvero l’ISTAT.
E poi rassicuriamo il nostro pubblico nel suo pain point più drammatico: “hey non rinunciare mai a una visita specialistica per colpa di una coda, perché la soluzione è evidente”.

A proposito di Pain Point:

Alpitour e la campagna che propone mete per una vacanza senza il passaporto?

Qui il principio è identico.
Questure intasate, passaporti erogati col contagocce tanto che è evidente che non riusciremo mai ad averlo per la nostra vacanza di quest’anno.

Bene, allora uniamo “pain point” a “tempo sociale delle persone”.
E il risultato è un contenuto dedicato a tutti i luoghi che puoi raggiungere senza passaporto.

Uno dei nostri trigger point preferiti è quello della trasformazione, del prima e del dopo:

Velux: esempio di prima e dopo

Com’era la tua vita prima di conoscere il mio prodotto?
Com’è la tua vita adesso che hai la luce verticale dall’alto.

Back2you: riduzione della cellulite

Com’era il tuo mondo quando indossavi l’intimo del fast fashion e com’è adesso che indossi un tessuto sano, drenante e snellente.

La morale?

Se sei un imprenditore o un responsabile marketing lavora con il tuo fornitore per trovare quel punto di equilibrio perfetto tra la tua aspettativa, cioè cosa vuoi ottenere dalle inserzioni, e i migliori trigger point per raggiungerla.

Ti assicuriamo che ce ne sono tantissimi.
L’importante è ragionare, testare, lavorare a monte su tutti i potenziali attivatori dell’attenzione delle persone sui social.
E ricordatelo sempre: non sono mai su Meta per comprare.

Facebook e Instagram — Strategie per una pubblicità che funziona

Giovedì 14 novembre esce il mio libro su Facebook e Instagram

“Orpo, l’ennesimo libro su Facebook e Instagram?”

Sì, è decisamente un mercato denso di offerta di contenuti. Un po’ perché va di moda, un po’ perché secondo me abbiamo sviluppato in Italia un ottimo livello di conoscenza ed è giusto che ognuno racconti il proprio approccio.

Nel libro ho provato a essere il più onesto possibile, raccontandovi in prima persona l’approccio alla materia.

Questa è l’introduzione al libro e se volete acquistarlo online, lo trovate qui.

 

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Il libro che state per leggere racconta in prima persona la mia vita di advertiser e racconta di molti dei casi concreti di cui mi sono occupato io con la mia agenzia, Noiza.

Vi mostra i ragionamenti, le analisi, gli approcci alla materia nel modo più sincero (pure troppo) possibile, perché l’obiettivo è anche quello di portarvi nel mio dietro le quinte, con la presunzione che sia interessante e utile per migliorare le vostre performance.

A cosa serve un libro come questo? La speranza più grande è che vi faccia risparmiare un bel po’ di soldi, e ve ne faccia guadagnare tantissimi.

Evitando gli errori più grossolani, perché quelli li ho già fatti io e voi ve li potete risparmiare, provando a investire nel modo più corretto possibile.

Pensatelo come il libro di uno che ha passato gli ultimi 10 anni della propria vita a fare solo questo: investire un sacco di denaro su Facebook e Instagram e confrontarmi con colleghe e colleghi su come farlo al meglio. E adesso non vedo l’ora di raccontarvelo.

Vi chiedo solo una cortesia, ma non prendetela come una stramberia: prima di iniziare la lettura andate a dare un’occhiata alla postfazione di Alessandra Farabegoli nelle ultime pagine di questo libro. In poche righe c’è l’essenza del mio (nostro) approccio, una sorta di promessa che facciamo con voi lettrici e lettori di non fornirvi mai soluzioni ma di aiutarvi nel ragionamento su Facebook e Instagram. E una volta letta, fatemi sapere se ho rispettato questo patto.

Il libro comincia dalle cose facili, apparentemente basilari: per esempio, come fare pubblicità per una gelateria sui social. Ma le basi di una materia sono meravigliose perché ti fanno scoprire l’essenza delle cose e, anche quando si complicano, ti accorgi che comunque l’essenza rimane immutata come il DNA.

E quando ti trovi a gestire la pubblicità di un colosso come Benetton, non riesci a non pensare che quel meccanismo l’avevi progettato uguale uguale, quando ti occupavi di gelati e panna montata.

Nelle parti centrali scoprirete che l’ideale per cominciare a fare advertising è il proprio pubblico, qualcuno che è già cliente o che gravita attorno alla nostra azienda.

Solo allora impareremo bene ad allargare lo spettro del target, a raggiungere nuovo pubblico e proveremo a farlo nel modo più sostenibile possibile.

E al capitolo 4 vi arriverà un buffetto, un leggero pizzicotto per svegliarvi e accompagnarvi a riflettere su come i vostri post su Facebook e Instagram…facciano un po’ schifo.

Negli ultimi capitoli la lettura si farà più tecnica perché non posso tradire la mia natura ossessivo-compulsiva nel vedere migliorare ogni giorno le performance della pubblicità online con ottimizzazioni costanti. E le ottimizzazioni vi faranno sudare.

Ci sarà spazio anche per un’intervista che ho fortemente voluto ad Alessandro Gargiulo, perché quando si parla lanciare un e-commerce non potevo non chiamare in causa una delle belle più belle esperienze di marketing orientato alla vendita a cui io abbia mai assistito.

Poi ci sono 3 paginette finali che parlano di Instagram. Sì, solo tre e non sto scherzando.

Ma non vi agitate, è tutto sotto controllo.

 

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Apogeo ha organizzato a Milano, alla Fondazione Feltrinelli, un corso di Facebook Marketing, il 27 novembre. Un’intera giornata dedicata a Facebook, Instagram e alla pubblicità che funziona. Se vuoi curiosare, questo è il programma del corso.

Lavora con noi: digital advertiser

Chi stiamo cercando? Un/Una digital advertiser!

Che caratteristiche deve avere?

  1. Passione per i numeri e mentalità analitica perché dovrà gestire campagne di Facebook Ads (principalmente) e Google Ads
  2. Trattandosi di Ads, deve saper valutarne l’impatto sia da pannello Adv ma anche e soprattutto su Analytics
  3. Capacità intermedia in Excel
  4. Capacità di scrivere report chiari e incisivi
  5. Ottima conoscenza della lingua inglese

La retribuzione annua e la tipologia contrattuale saranno definite in base alla seniority del candidato.

Cerchiamo una persona che entri a far parte del nostro team che ha sede a Trieste, quindi al momento non cerchiamo freelance per collaborazioni da remoto.

Se hai voglia di confrontarti con progetti eterogenei e interessanti, e di entrare a far parte di un team coeso che fa un punto d’orgoglio della soddisfazione di tutti i propri clienti, allora inviaci il tuo CV a info@noiza.com

Facebook Advertising per il Turismo al BTO11

Sarà per il libro che ho scritto con Alessandra.
Sarà che sento di aver imparato un sacco di cose negli ultimi tempi.
Ma è un periodo che mi diverto parecchio a partecipare a convegni ed eventi in giro per l’Italia.
Di solito, sbagliando, non lascio traccia scritta di ciò che faccio come un articolo sul blog o qualche post su Facebook. Perché sono pigro e ho scarse velleità di fare del personal branding.

Per il BTO11 faccio un’eccezione.
E la faccio per il semplice motivo che non sono così soddisfatto del mio speech.
Ero in compagnia di due colleghe del calibro di Veronica Gentili e Alessandra Farabegoli, per una lunga cavalcata di un paio d’ore sulle migliori strategie online per il mondo dell’accoglienza turistica.

Il palco del BTO 11 di Firenze
Grazie a Verner Ferrato per la foto 😉

Non sono soddisfatto perché ho costruito uno svolgimento un po’ troppo complesso, a volte macchinoso, che forse era ben chiaro nella mia testa, ma che a distanza di qualche giorno non così convinto di aver reso al meglio.

E devo per forza riprenderlo, altrimenti mi sento in colpa.

Il tema generale è Strategie di Facebook Ads.
E gli argomenti che ho descritto sono principalmente quattro:

  • Delivery
  • Target
  • Placement
  • Always On, Learning, Full Funnel

Facebook Advertising: la delivery

Sono completamente ossessionato dalla distribuzione.
Perché è un concetto difficilissimo da far passare sia agli imprenditori che ai marketer.

Se andiamo a prendere la torta del traffico di una destinazione turistica, di un hotel, di una grande travel agency italiana, siamo di fronte sempre alle stessa tipologia di acquisizione: l’ingresso da search (indifferente che sia paid o organic) supera SEMPRE il 60% del traffico complessivo, con punte addirittura dell’80%.

l’ingresso da search supera sempre il 60% del traffico complessivo, con punte addirittura dell’80%.

Più della metà del tuo traffico arriva sempre da motore di ricerca e da domanda consapevole. E il tuo baricentro marketing ha un solo obiettivo quando si parla di domanda diretta: dare la migliore risposta possibile.

Se io hotel calcolo quali siano le mie 10–20 domande di mercato principali, rispondo all’80% delle esigenze del mio traffico in una perfetta disposizione paretiana.

E il mio hotel si deve concentrare su quelle discipline che migliorano la risposta:
a) rendendo il sito dell’hotel più semplice da trovare (SEO)
b) rendendolo più chiaro e strategico (User Experience)
c) Rendendolo il più esaustivo possibile (Content Marketing)

Tutto chiaro, quasi banale. Ma cosa accade in un contesto in cui la domanda non è così esplicita? Perché, a meno che non si tratti di un puro local business (tipo buttare un occhio su Facebook alla pagina del ristorante dove voglio andare a mangiare), all’interno dei social network difficilmente sviluppo dinamiche di domanda diretta in ambito travel.

In uno spazio social come Facebook si fa ancora fatica a comprendere che l’intero baricentro, come vi mostra una normalissima pagina di insight, va spostato sulla distribuzione del contenuto: guarda l’enorme differenza tra la copertura effettiva, quante persone raggiungete, e quante di quelle persone poi vengono a curiosare e a domandarsi “chi sono questi?” sulla vostra fanpage.

differenza tra la copertura effettiva, quante persone raggiungete, e quante di quelle persone poi vengono a curiosare

E il problema si fa ancora più complicato, perché una volta appurata l’importanza della delivery, vi accorgete che state raggiungendo persone profondamente distratte dal loro frame quotidiano su Facebook: persone che si stanno facendo allegramente i fatti loro.

Ulteriore problema: il vettore di comunicazione deve declinarsi in base alla distanza geografica del vostro pubblico dal punto di conversione.

Regola n1 per fare Facebook advertising: collocare geograficamente il tuo pubblico

Target

Più il target è lontano dal prenotare una camera o dal visitare la vostra destinazione, più la vostra distribuzione sarà complessa: come si comunica a un pubblico di sconosciuti?
Più è vicino, più parliamo con un pubblico famigliare. Ed è proprio dal pubblico più vicino che dobbiamo partire perché l’unico target con cui abbiamo già familiarità.

Per esempio possiamo andare a scoprire su Audience Insights che caratteristiche ha. Oppure possiamo aprire le Analytics e scoprire quale il contenuto più cercato dalla domanda diretta, magari scopriamo che le statistiche del sito web di Discover Trieste dicono che uno dei contenuti più cercati è “la bora”, il magico vento di Trieste.

Uno dei contenuti più cercati sul sito di Discover Trieste: la bora

E trasformando il dato in informazione, andiamo a fare una costruzione editoriale proprio in linea con questo dato.

Per esempio, usando un video di un pazzo che con uno skateboard e un telo di plastica si fa spingere nel vento sul lungomare triestino.

Fare skateboard con la Bora

Ma non basta.
Perché la domanda resta: a chi andiamo a distribuire questo contenuto?

Possiamo rivolgerci a un pubblico lavorando sugli interessi di Facebook per esempio sui “viaggiatori frequenti”.

Solo che Facebook ci dice «hey guarda che stiamo parlando di 27 milioni di persone» su 33milioni di italiani presenti su Facebook.
Oppure se ho un prodotto enogastronomico vado su pubblico “wine”, e anche lì ci troviamo di fronte a 14 milioni di persone.
Quanto vale questo target? Niente, perché è troppo indistinto.

Soluzioni:

  1. O scegliere interessi specifici quindi “Bolgheri Sassicaia” e non “Wine”
  2. Oppure, cosa che preferisco, cominciare lavorare su Audience Algoritmiche, ovvero le audience somiglianti, cioé create da Facebook a partire da una fonte affidabile.

Audience

Quindi il pubblico indistinto non esiste più.
Esiste solo un ultimo anello che è quello del tuo pubblico “somigliante” e non si oltrepassa mai quel confine nella targetizzazione.
Un’estremizzazione? Certo, ma ci aiuta concettualmente a definire dei confini numerici ben precisi, soprattutto se siamo strutture piccole che non dispongono di un gran budget per permettersi di raggiungere milioni di persone.

E un uso di una audience somigliante ci costringe anche ad attivare un mindset editoriale nuovo e diverso da prima: progetto un contenuto per avere una custom audience affidabile su cui poi generare una lookalike.

Cosa abbiamo imparato?

Ok e allora come dobbiamo costruirli questi contenuti?
Forse smettendola di creare i soliti video turistici patinati, emotivi, con un sacco di tramonti sullo sfondo e cominciare a lavorare sul #nofilter totale.
Ma non soltanto un #nofilter estetico, di facciata, no no qui parliamo di “verismo” della località turistica.

Possibile, citando l’amico Sergio Cagol, che nessuna destinazione turistica abbia raccontato il dramma della devastazione dei nostri boschi nel nord-italia? Possibile che si continui a fare delivery turistica con questo enorme elefante nella sala di cui nessuno sembra accorgersi?

Unica eccezione, non turistica, il Comune di Canazei:

Il comune di Canazei e la devastazione dei boschi nel nord-italia

Empatia ed empowerment, questi sono i social.

Esattamente come il frame scelto dalla cantina Fiegl per il video della vendemmia, che parte da un vero e proprio culo del contadino in bermuda e bretelle.

La vendemmia di Fiegl

 

Il “verismo” social è diventato il mio paradigma dell’estetica turistica.

Il placement

No, sul placement c’è un lungo discorso da fare.
Troppo complesso, troppo tecnico e non adatto né a trattarlo qui né a buttarlo in mezzo alla platea del BTO11 senza approfondirlo come meritava.
Mea Culpa.

Always on, learning e full funnel

Qui il discorso è molto semplice: Facebook Ads funziona meglio se sei sempre “Always On” ovvero se sei SEMPRE in campagna.
Sembra paradossale, ma è quasi più importante seguire un obiettivo algoritmico che non un obiettivo aziendale.

In un modello precedente all’always on l’imprenditore ha una campagna da fare, magari su un particolare evento della destinazione turistica, quindi imposta l’obiettivo, sceglie un target e progetta l’inserzione:

Così:

Campagna Facebook Ads

Con l’always on, noi siamo sempre in campagna creando una struttura che rispecchi il proprio percorso di inserzione.
Quindi l’azienda, teoricamente, ha sempre aperta una campagna di copertura, o di traffico, o di interazione (ed eventualmente anche di conversione).
L’azienda sceglie poi dei gruppi di inserzione che siano il più stabili possibile e ruota gli annunci all’interno dei gruppi di inserzione.

Così:

Campagna Facebook Ads

E così:

Campagna Facebook Ads

Perché utilizziamo questo metodo?
Perché è più facile chiudere le fasi di apprendimento dell’algoritmo. Se teniamo i target stabili, Facebook ha il tempo necessario di “apprendere” tutto sul vostro target facendogli chiudere la fase di learning.

Un esempio? Beh se avete in corso una campagna di conversione, non importa quale conversione, Facebook ha bisogno che ogni gruppo di inserzione realizzi almeno 50 conversioni alla settimana per poter chiudere l’apprendimento.
Non fai 50 conversioni alla settimana? O cambi tipologia di conversione scegliendone una più leggera, oppure cambi obiettivo e da conversione passi a traffico.
Far procedere campagne che non apprendono, significa buttare via i soldi.

E cosa vuol dire Full Funnel?
Cominciamo a spiegare cosa non è full funnel: Instagram.
Ovunque io mi giri, “Instagram” è la parola più pronunciata da chiunque io incontri in azienda. Ma la cosa dev’essere ben chiara, Instagram non è ancora Full Funnel; lo sarà ovviamente, ma non lo è ancora. Questo significa che non è adatta a tutte le fasi del funnel soprattutto nella parte dedicata alla conversione.
Enorme strumento di awareness, enorme prodotto di primo touch point e spesso anche di consideration, ma da qui a diventare un importante strumento di last click to conversion, ce ne passa.
Facebook invece è perfettamente full funnel, usiamolo.

Marketing in un mondo digitale. L’anteprima del libro

L’8 novembre è uscito il libro che ho scritto con Alessandra Farabegoli.
Si intitola Marketing in un mondo digitale e ha come principale obiettivo quello di essere un racconto diretto, senza fronzoli e trasparente su come abbiamo affrontato alcuni “casi di marketing”, a volte riuscendoci, a volte no, fallendo.

Questa è la mia introduzione al libro e se volete acquistarlo online, lo trovate qui.

 

***

Non ho mai scritto un libro.

Forse anche per questo Alessandra mi ha lasciato l’onore di aprirlo con un’introduzione che vi accompagnasse alla lettura.

Non ho mai scritto un libro perché faccio una fatica enorme a mettere insieme pensieri, dati, intuizioni nella giusta sequenzialità logica, in un percorso ordinato dalla A alla Z. Ho sempre preferito scrivere appunti, piccoli saggi, brevi interventi o percorsi formativi, perché una forma più “volatile” rispetto alla carta mi concede maggior facilità di aggiornamento, revisione, cancellazione, tutte quelle operazioni che mi permettono di mantenere un contenuto attuale nel tempo, o di eliminarlo qualora fosse diventato ormai obsoleto.

Il senso dell’obsolescenza rapida è il demone più grande per chi fa il mio mestiere, quello di marketer, e non parlo solo dell’obsolescenza della tecnica, perché con quella si è obbligati a convivere: io che mi occupo di Facebook lavoro in un ambiente che cambia le proprie regole almeno una volta alla settimana, talvolta sconvolgendo uno scenario che credevi consolidato.

Non solo obsolescenza tecnico-operativa, dicevo, ma anche di visione e di prospettiva. L’incubo peggiore è quello di rileggermi a distanza di tempo e scoprirmi naïf, miope e scollegato dal contemporaneo. Accadrà, è inevitabile. Ma per rallentare questo processo, Alessandra e io abbiamo scelto di partire dalla parola “marketing” senza alcun prefisso, come “web”, “digital”, “online”. No, “marketing” nel suo significato più integro e cristallino: l’azione delle imprese sul mercato. Che poi questo avvenga in un ambiente digitale, ci piace considerarlo un dettaglio.

Quando ho cominciato a fare marketing, non lo chiamavo nemmeno marketing. Non avevo la consapevolezza di quanto ciò che stavo facendo fosse in realtà un contributo alle strategie di vendita di un’azienda.

Ho iniziato a occuparmi di contenuti online nel 1999: scrivevo soprattutto di gaming su portali sia specializzati sia generalisti. Non che ne faccia motivo di vanto, figuriamoci, ma credo di aver scritto il primo lungo articolo italiano dedicato ai Pokémon, dopo aver consumato non solo il mio Game Boy ma anche una marea di tempo e un paio di sessioni d’esame “in bianco” all’università.
All’epoca scrivevo con l’univo obiettivo di essere pubblicato e letto e quando mi chiedevano “ma tu che lavoro fai?”, io rispondevo “scrivo articoli online”. Non era né comunicazione online, né marketing online, era semplicemente il trasferimento di una attività offline, “scrivere articoli”, in una diversa dimensione spaziale. E l’editore, come me, replicava logiche dell’editoria tradizionale sfornando contenuti quotidiani che si distinguevano da un articolo scritto per una rivista cartacea solo per la forma: multimediale e ipertestuale.

A distanza di qualche anno ho scoperto la mia attività di allora ha oggi un nome ben preciso. Si chiama “content marketing”: una creazione di contenuto orientata sia a un pubblico di lettori, sia a un pubblico di algoritmi in grado di trovare il contenuto, che risponde a una specifica domanda sul motore di ricerca. Solo dopo qualche anno ho scoperto che la mia attività non era “la scrittura di un articolo” ma una scrittura “SEO oriented”, ovvero una scelta di stile e confezionamento del testo che puntasse dritta a ricevere le migliori attenzioni da Google.

E sono passati dieci anni prima di comprendere che non avrei dovuto scrivere solo per essere prima trovato e poi letto, ma anche per essere condiviso, e questo significava confezionare un  contenuto easy to share su Facebook. E mai avrei immaginato che il mio articolo sui Pokémon, se fosse stato scritto venti anni dopo, avrebbe coinvolto decine di specializzazioni marketing differenti: SEO, SEM, social media strategy, FB advertising, paid search, email marketing, user experience, influencer marketing, conversion rate optimization e un altro paio di termini o acronimi che anno dopo anno ci piace aggiungere a questa lista.

Ma non basta, perché questa visione è online-centrica; ovvero continuiamo a immaginare  un universo fatto di azioni e reazioni che nascono e si esauriscono all’interno di una cornice che noi abbiamo fissato per convenzione ma che nella realtà dei fatti non esiste, o non esiste più: il Web. Perché ormai la pratica del consumo trascende spazio e tempo, online e offline, e il marketing online per come lo conosciamo ha fatto il suo tempo.

Oggi le categorie di analisi faticano a interpretare il ciclo di un consumatore, che sfiora o tocca una quantità di touch point non solo complessi da individuare, ma anche difficilmente concatenabili.

Questo libro non ha alcuna pretesa di fare ordine nel caos, perché il caos ormai è un paradigma, è uno status incontrovertibile in cui è immerso il consumatore. Questo libro non è nemmeno un manuale, perché una delle ambizioni di un manuale è spiegarvi “come si fa”, e in queste pagine invece, a costo di deludere le vostre aspettative, vi raccontiamo “come abbiamo fatto noi”, analizzando i nostri contesti e i casi dei nostri clienti. Mica è detto che valgano anche per voi.

E molte volte vi troverete di fronte a una situazione in cui il nostro lavoro ha danneggiato il cliente. Sì, perché questo libro parla anche di fallimenti.

“Ok, scusate ma perché mi avete fatto comprare il libro, allora?”

Il nostro intento è solo quello di aiutarvi ad affrontare uno scenario di complessità, attraverso un percorso di consapevolezza. Non vi racconteremo come abbiamo usato l’advertising su Facebook per alzare il fatturato di un cliente, se non dopo aver risposto alla domanda: “Perché abbiamo usato Facebook?”.

Non vi suggeriremo nemmeno l’utilizzo dell’email marketing, se prima non vi avremo raccontato la strategia che sta a monte e che ci ha portati a utilizzare alcune automazioni di MailChimp per migliorare il tasso di conversione del nostro ecommerce.

Il nostro intento, quando abbiamo concepito questo testo, era di portarvi nel “dietro le quinte”, alla scoperta della strategia che abbiamo adottato per alcuni nostri clienti, senza tanti fronzoli, lavorando in totale trasparenza su casi concreti, problemi e numeri reali, parlando di successi e di insuccessi.

Non è un esercizio di ego: abbiamo cercato di far parlare i numeri e i dati, prima della nostra voce, trasformandoli in informazione strategica per le imprese. Non parliamo di noi, ma proviamo a far parlare i dati di cui siamo in possesso, per farci guidare nelle scelte di marketing.

In questo libro troverete soprattutto l’unione di due competenze, da un lato la social media strategy, dall’altro l’email marketing, con un sacco di sconfinamenti in altre discipline, dal content marketing alla SEO (Search Engine Optimization); ma se state cercando un manuale tecnico, questo libro non è la risposta. Perché più che dare risposte, proviamo a fare le domande corrette per noi e per gli imprenditori e i responsabili marketing per cui lavoriamo.

―Enrico Marchetto

 

Io ed Enrico non potremmo essere più diversi l’uno dall’altra: un game addicted lui, un’asburgica ex-scout io, ci dividono abitudini, storia personale, modi di impiegare il tempo libero. Eppure appena conosciuti ci siamo sintonizzati alla perfezione sul piano professionale, perché entrambi abbiamo lo stesso approccio: cerchiamo ogni giorno di approfondire il nostro specifico ambito di specializzazione, ma al tempo stesso non perdiamo mai di vista una prospettiva d’insieme più ampia, che include la strategia complessiva dei nostri clienti e il contesto, sempre mutevole, in cui si muovono.

Per questo entrambi odiamo le ricette preconfezionate, i “momenti giusti per pubblicare su Facebook” e il “numero giusto di caratteri nell’oggetto della mail”: sappiamo che la risposta giusta è sempre “dipende”, ma un “dipende” che non significa lavarsene le mani rispetto ai risultati, quanto piuttosto dedicarsi con impegno all’analisi di ciascun caso, guidati da un metodo che ci insegna prima di tutto a fare – a farci – le domande giuste.

Anche se non è sempre facile trovare la risposta esatta, anche se a volte le risposte sono più di una e la risposta che appena ieri era valida stamattina non funziona più.

Abbiamo pensato questo libro insieme e, come succede quando lavoriamo per un cliente comune, ciascuno di noi si è dedicato in particolare ad alcune parti del lavoro, per poi discuterne insieme e integrare le osservazioni, i punti di vista, le correzioni. Come quando teniamo un corso in coppia, ci passiamo la parola l’uno all’altra e facciamo un po’ di jazz insieme; in questo libro i Capitoli 1 e 6 li ho scritti quasi interamente io, il 2 e il 3 Enrico, il 4 e il 5 li abbiamo lavorati a quattro mani.

Dobbiamo molta gratitudine ai colleghi con cui ci siamo confrontati in questi mesi, in particolare a Gianluca Diegoli, Emanuele Tamponi, Andrea Santin, Marco Pilia, Martino Stenta.

Come spesso ci accade quando lavoriamo, è stato faticoso, ma, alla fine, divertente; speriamo che voi lo troviate anche utile.

Alessandra Farabegoli

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Apogeo ha organizzato a Milano, alla Fondazione Feltrinelli, un corso di Facebook Marketing, il 27 novembre. Un’intera giornata dedicata al Facebook Marketing. Se vuoi curiosare, questo è il programma del corso.

Retargeting Video su Facebook: il punto di incontro tra Branding e Conversioni

Partiamo da una premessa: senza remarketing online non si vende, senza remarketing non si fanno leads, senza remarketing qualsiasi nostra azione di advertising viene penalizzata sul nascere.

Perché?

Non è certo la sede per disquisire sulle potenzialità del remarketing, perché se state leggendo questo articolo probabilmente ve ne siete già accorti. Vi lascio solamente un link allo splendido articolo di Alessandro Sportelli (hey è un pezzo del 2014, ma Alessandro si occupa di strategia, non di tecnicaglie, e la strategia è molto ma molto più longeva della tecnica) che vi descrive quanto complesso sia far completare un’azione attesa a un cliente.

Inquadrando il remarketing su Facebook, tendiamo sempre a considerare una tassonomia ormai consolidata:

1) Remarketing sui Fan di una Pagina, quando andiamo a scegliere come target delle nostre campagne la fan base della nostra pagina

2) Remarketing su Website Custom Audience, quando andiamo a risollecitare utenti che hanno visitato pagine specifiche del nostro sito web.
Esempio: attraverso il nostro pixel di tracciamento di Facebook, andiamo a individuare un’audience di persone che hanno visitato un prodotto specifico senza acquistarlo.
Bene, faremo una campagna su FB orientata a ri-stimolarli proprio su quel prodotto o su prodotti della stessa categoria commerciale

custom audience facebook

3) Remarketing su List Custom Audience, quando andiamo a spingere la nostra campagna su un target proveniente dalla nostra lista contatti.
Esempio: abbiamo un lista di iscritti a un evento di formazione? Bene facciamo remarketing su questa lista quando organizziamo la seconda parte di quel corso, magari la parte avanzata.

Audience Facebook da Newsletter


Ma avete mai provato a fare remarketing sulle video-views?

Su twitter sintetizzavo il concetto così:

Già, il remarketing su una audience che ha visualizzato il tuo video è un ottimo punto di incontro tra branding/awareness e conversione.
Perché strategicamente progetto una mia campagna di awareness orientandola fin da subito alla conversione.

Come?

Farò un esempio pratico su www.discover-trieste.it la piattaforma di destination marketing della città di Trieste, di cui sono project manager e responsabile marketing.

Awareness

Qui il lavoro è molto semplice, previa ovviamente disporre degli ingredienti giusti.
Immaginiamo di disporre di un video su cui investire un piccolo budget promozionale, prendiamo questo che vedete qui sotto a solo titolo di esempio (in realtà lo prendo a esempio perché è molto divertente e vi dà l’idea di cosa sia la bora a Trieste e i potenziali usi creativi 🙂 ).

[nuovi sport]Bora Surfing sul fronte mare di #Trieste#soloAtrieste #boraexperience #discovertrieste #triestesocial #museobora

Posted by Discover Trieste on Venerdì 6 febbraio 2015

Bene, è il momento di fare una promozione scegliendo come obiettivo “ottieni visualizzazioni del video” e selezioniamo il video dopo aver ovviamente deciso il target, il budget e il posizionamento.

Inserzioni video su Facebook

Bene: non tutti sanno che…non appena abbiamo lanciato la nostra campagna video, quando andremo nella sezione STRUMENTI -> PUBBLICO della nostra Gestione Inserzioni, troveremo una gradita sorpresa:

Audience Video Custom

Facebook va a crearci automaticamente due audience:

  1. una fatta di persone che hanno visto passare sul proprio newsfeed il video e ne hanno visto almeno i primi 3 secondi
  2. un’altra fatta di utenti che hanno completato la visione del video, ovvero sono arrivati fino alla fine

E come tutte le custom audience, ora abbiamo due strade percorribili:

  1. facciamo retargeting sulla nostra audience andando a selezionarla nel campo “pubblico personalizzato” quando scegliamo il target della campagnaVideo Retargeting Facebook
  2. possiamo creare una lookalike audience, ovvero una audience fatta di persone molto simili alle persone che hanno visto il nostro video. Naturalmente, questa nuova audience somigliante, la utilizzeremo successivamente come target di inserzioneLookalike Audience Videoview Facebook

Chiaro. Il video è un contenuto non semplice da realizzare per una fan page soprattutto se vogliamo tenere standard qualitativi elevati. Come aggirare il problema? Nulla di più semplice!

Mettete in promozione uno slideshow! 
Ovvero componete uno slideshow costruito con una serie di immagini in dissolvenza l’una sull’altra che Facebook tratterà esattamente alla stregua di un video.

Sideshow Facebook

Selezionate una sequenza di immagini e il gioco è fatto: Facebook salverà anche in questo caso due audience composte sempre da chi ha visto il video in modo parziale e da chi invece ne ha completato la visione!

Slideshow Facebook
Avete una freccia letale nella faretra del vostro advertising, si chiama RETARGETING.
Bene, usatela.

Ah, se vi interessa un approccio strategico avanzato sul Facebook Marketing, tengo un corso il 21 gennaio al Digital Update di Bologna. Ci vediamo lì?