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Facebook Advertising per il Turismo al BTO11

Enrico Marchetto

26 Marzo 2019

Sarà per il libro che ho scritto con Alessandra.
Sarà che sento di aver imparato un sacco di cose negli ultimi tempi.
Ma è un periodo che mi diverto parecchio a partecipare a convegni ed eventi in giro per l’Italia.
Di solito, sbagliando, non lascio traccia scritta di ciò che faccio come un articolo sul blog o qualche post su Facebook. Perché sono pigro e ho scarse velleità di fare del personal branding.

Per il BTO11 faccio un’eccezione.
E la faccio per il semplice motivo che non sono così soddisfatto del mio speech.
Ero in compagnia di due colleghe del calibro di Veronica Gentili e Alessandra Farabegoli, per una lunga cavalcata di un paio d’ore sulle migliori strategie online per il mondo dell’accoglienza turistica.

Il palco del BTO 11 di Firenze
Grazie a Verner Ferrato per la foto 😉

Non sono soddisfatto perché ho costruito uno svolgimento un po’ troppo complesso, a volte macchinoso, che forse era ben chiaro nella mia testa, ma che a distanza di qualche giorno non così convinto di aver reso al meglio.

E devo per forza riprenderlo, altrimenti mi sento in colpa.

Il tema generale è Strategie di Facebook Ads.
E gli argomenti che ho descritto sono principalmente quattro:

  • Delivery
  • Target
  • Placement
  • Always On, Learning, Full Funnel

Facebook Advertising: la delivery

Sono completamente ossessionato dalla distribuzione.
Perché è un concetto difficilissimo da far passare sia agli imprenditori che ai marketer.

Se andiamo a prendere la torta del traffico di una destinazione turistica, di un hotel, di una grande travel agency italiana, siamo di fronte sempre alle stessa tipologia di acquisizione: l’ingresso da search (indifferente che sia paid o organic) supera SEMPRE il 60% del traffico complessivo, con punte addirittura dell’80%.

l’ingresso da search supera sempre il 60% del traffico complessivo, con punte addirittura dell’80%.

Più della metà del tuo traffico arriva sempre da motore di ricerca e da domanda consapevole. E il tuo baricentro marketing ha un solo obiettivo quando si parla di domanda diretta: dare la migliore risposta possibile.

Se io hotel calcolo quali siano le mie 10–20 domande di mercato principali, rispondo all’80% delle esigenze del mio traffico in una perfetta disposizione paretiana.

E il mio hotel si deve concentrare su quelle discipline che migliorano la risposta:
a) rendendo il sito dell’hotel più semplice da trovare (SEO)
b) rendendolo più chiaro e strategico (User Experience)
c) Rendendolo il più esaustivo possibile (Content Marketing)

Tutto chiaro, quasi banale. Ma cosa accade in un contesto in cui la domanda non è così esplicita? Perché, a meno che non si tratti di un puro local business (tipo buttare un occhio su Facebook alla pagina del ristorante dove voglio andare a mangiare), all’interno dei social network difficilmente sviluppo dinamiche di domanda diretta in ambito travel.

In uno spazio social come Facebook si fa ancora fatica a comprendere che l’intero baricentro, come vi mostra una normalissima pagina di insight, va spostato sulla distribuzione del contenuto: guarda l’enorme differenza tra la copertura effettiva, quante persone raggiungete, e quante di quelle persone poi vengono a curiosare e a domandarsi “chi sono questi?” sulla vostra fanpage.

differenza tra la copertura effettiva, quante persone raggiungete, e quante di quelle persone poi vengono a curiosare

E il problema si fa ancora più complicato, perché una volta appurata l’importanza della delivery, vi accorgete che state raggiungendo persone profondamente distratte dal loro frame quotidiano su Facebook: persone che si stanno facendo allegramente i fatti loro.

Ulteriore problema: il vettore di comunicazione deve declinarsi in base alla distanza geografica del vostro pubblico dal punto di conversione.

Regola n1 per fare Facebook advertising: collocare geograficamente il tuo pubblico

Target

Più il target è lontano dal prenotare una camera o dal visitare la vostra destinazione, più la vostra distribuzione sarà complessa: come si comunica a un pubblico di sconosciuti?
Più è vicino, più parliamo con un pubblico famigliare. Ed è proprio dal pubblico più vicino che dobbiamo partire perché l’unico target con cui abbiamo già familiarità.

Per esempio possiamo andare a scoprire su Audience Insights che caratteristiche ha. Oppure possiamo aprire le Analytics e scoprire quale il contenuto più cercato dalla domanda diretta, magari scopriamo che le statistiche del sito web di Discover Trieste dicono che uno dei contenuti più cercati è “la bora”, il magico vento di Trieste.

Uno dei contenuti più cercati sul sito di Discover Trieste: la bora

E trasformando il dato in informazione, andiamo a fare una costruzione editoriale proprio in linea con questo dato.

Per esempio, usando un video di un pazzo che con uno skateboard e un telo di plastica si fa spingere nel vento sul lungomare triestino.

Fare skateboard con la Bora

Ma non basta.
Perché la domanda resta: a chi andiamo a distribuire questo contenuto?

Possiamo rivolgerci a un pubblico lavorando sugli interessi di Facebook per esempio sui “viaggiatori frequenti”.

Solo che Facebook ci dice «hey guarda che stiamo parlando di 27 milioni di persone» su 33milioni di italiani presenti su Facebook.
Oppure se ho un prodotto enogastronomico vado su pubblico “wine”, e anche lì ci troviamo di fronte a 14 milioni di persone.
Quanto vale questo target? Niente, perché è troppo indistinto.

Soluzioni:

  1. O scegliere interessi specifici quindi “Bolgheri Sassicaia” e non “Wine”
  2. Oppure, cosa che preferisco, cominciare lavorare su Audience Algoritmiche, ovvero le audience somiglianti, cioé create da Facebook a partire da una fonte affidabile.

Audience

Quindi il pubblico indistinto non esiste più.
Esiste solo un ultimo anello che è quello del tuo pubblico “somigliante” e non si oltrepassa mai quel confine nella targetizzazione.
Un’estremizzazione? Certo, ma ci aiuta concettualmente a definire dei confini numerici ben precisi, soprattutto se siamo strutture piccole che non dispongono di un gran budget per permettersi di raggiungere milioni di persone.

E un uso di una audience somigliante ci costringe anche ad attivare un mindset editoriale nuovo e diverso da prima: progetto un contenuto per avere una custom audience affidabile su cui poi generare una lookalike.

Cosa abbiamo imparato?

Ok e allora come dobbiamo costruirli questi contenuti?
Forse smettendola di creare i soliti video turistici patinati, emotivi, con un sacco di tramonti sullo sfondo e cominciare a lavorare sul #nofilter totale.
Ma non soltanto un #nofilter estetico, di facciata, no no qui parliamo di “verismo” della località turistica.

Possibile, citando l’amico Sergio Cagol, che nessuna destinazione turistica abbia raccontato il dramma della devastazione dei nostri boschi nel nord-italia? Possibile che si continui a fare delivery turistica con questo enorme elefante nella sala di cui nessuno sembra accorgersi?

Unica eccezione, non turistica, il Comune di Canazei:

Il comune di Canazei e la devastazione dei boschi nel nord-italia

Empatia ed empowerment, questi sono i social.

Esattamente come il frame scelto dalla cantina Fiegl per il video della vendemmia, che parte da un vero e proprio culo del contadino in bermuda e bretelle.

La vendemmia di Fiegl

 

Il “verismo” social è diventato il mio paradigma dell’estetica turistica.

Il placement

No, sul placement c’è un lungo discorso da fare.
Troppo complesso, troppo tecnico e non adatto né a trattarlo qui né a buttarlo in mezzo alla platea del BTO11 senza approfondirlo come meritava.
Mea Culpa.

Always on, learning e full funnel

Qui il discorso è molto semplice: Facebook Ads funziona meglio se sei sempre “Always On” ovvero se sei SEMPRE in campagna.
Sembra paradossale, ma è quasi più importante seguire un obiettivo algoritmico che non un obiettivo aziendale.

In un modello precedente all’always on l’imprenditore ha una campagna da fare, magari su un particolare evento della destinazione turistica, quindi imposta l’obiettivo, sceglie un target e progetta l’inserzione:

Così:

Campagna Facebook Ads

Con l’always on, noi siamo sempre in campagna creando una struttura che rispecchi il proprio percorso di inserzione.
Quindi l’azienda, teoricamente, ha sempre aperta una campagna di copertura, o di traffico, o di interazione (ed eventualmente anche di conversione).
L’azienda sceglie poi dei gruppi di inserzione che siano il più stabili possibile e ruota gli annunci all’interno dei gruppi di inserzione.

Così:

Campagna Facebook Ads

E così:

Campagna Facebook Ads

Perché utilizziamo questo metodo?
Perché è più facile chiudere le fasi di apprendimento dell’algoritmo. Se teniamo i target stabili, Facebook ha il tempo necessario di “apprendere” tutto sul vostro target facendogli chiudere la fase di learning.

Un esempio? Beh se avete in corso una campagna di conversione, non importa quale conversione, Facebook ha bisogno che ogni gruppo di inserzione realizzi almeno 50 conversioni alla settimana per poter chiudere l’apprendimento.
Non fai 50 conversioni alla settimana? O cambi tipologia di conversione scegliendone una più leggera, oppure cambi obiettivo e da conversione passi a traffico.
Far procedere campagne che non apprendono, significa buttare via i soldi.

E cosa vuol dire Full Funnel?
Cominciamo a spiegare cosa non è full funnel: Instagram.
Ovunque io mi giri, “Instagram” è la parola più pronunciata da chiunque io incontri in azienda. Ma la cosa dev’essere ben chiara, Instagram non è ancora Full Funnel; lo sarà ovviamente, ma non lo è ancora. Questo significa che non è adatta a tutte le fasi del funnel soprattutto nella parte dedicata alla conversione.
Enorme strumento di awareness, enorme prodotto di primo touch point e spesso anche di consideration, ma da qui a diventare un importante strumento di last click to conversion, ce ne passa.
Facebook invece è perfettamente full funnel, usiamolo.

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